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Theories on Political Deception

Niccolò Machiavelli

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Niccolò Machiavelli

[...] Perché elli è tanto discosto da come si vive a come si doverebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si doverrebbe fare impara più tosto la ruina che la preservazione sua: perché uno uomo, che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessità.

(Niccolò Machiavelli, Il Principe, cap. XV: De his rebus quibus homine et praesertim principes laudantur aut vituperantur)

Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede, e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende: non di manco si vede per esperienzia ne' nostri tempi, quelli principi avere fatto gran cose che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l'astuzia aggirare e' cervelli delli uomini: et alla fine hanno superato quelli che si sono fondati sulla lealtà. Dovete adunque sapere come sono dua generazione di combattere: l'uno con le leggi, l'altro con la forza: quel primo è proprio dello uomo, quel secondo delle bestie: ma, perché el primo molte volte non basta, conviene ricorrere al secondo. Per tanto a uno principe è necessario sapere usare bene la bestia e lo uomo. Questa parte è suta insegnata a' principi copertamente dalli antichi scrittori; li quali scrivono come Achille, e molti altri di quelli principi antichi, furono dati a nutrire a Chirone centauro, che sotto la sua disciplina li costudissi. Il che non vuol dire altro, avere per precettore uno mezzo bestia et mezzo uomo, se non che bisogna a uno principe sapere usare l'una e l'altra natura; e l'una sanza l'altra non è durabile. Sendo adunque uno principe necessitato sapere usare bene la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione; perché il lione non si difende da' lacci, la golpe non si difende da' lupi. Bisogna dunque essere golpe a conoscere e' lacci, e lione a sbigottire e' lupi. Coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendano. Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede, quando tale osservanzia li torni contro, e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. E, se li uomoni fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma, perché sono tristi e non la osservarebbano a te, tu etiam non l'hai ad osservare a loro. Né mai a uno principe mancorono cagioni legittime di colorare la inosservanzia. Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni, e monstrare quante pace, quante promesse sono state fatte irrite e vane per la infidelità de' principi: e quello che ha saputo meglio usare la golpe, è meglio capitato. Ma è necessario questa natura saperla bene colorire, et essere gran simulatore e dissimulatore: e sono tanto semplici li uomini, e tanto obediscano alle necessità presenti, che colui che inganna troverrà sempre chi si lascerà ingannare. Io non voglio delli esempli freschi tacerne uno. Alessandro VI non fece mai altro, non pensò mai ad altro che ad ingannare uomini, e sempre trovò subietto a poterlo fare. E non fu mai uomo che avessi maggiore efficacia in asseverare, e con maggiori giuramenti affermassi una cosa, che l'osservassi meno; non di meno, sempre li succederono l'inganni ad votum, perché conosceva bene questa parte del mondo. A uno principe, adunque, non è necessario avere tutte le soprascritte qualità, ma è bene necessario parere di averle. Anzi, ardirò di dire questo, che avendole et osservandole sempre, sono dannose, e parendo di averle, sono utile: come parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso, et essere; ma stare in modo edificato con l'animo, che, bisognando non essere, tu possa e sappi mutare el contrario. Et hassi ad intendere questo, che uno principe, e massime uno principe nuovo, non può osservare tutte quelle cose per li quali li uomini sono tenuti buoni, sendo spesso necessitato, per mantenere lo stato, operare contro alla fede, contro alla carità, contro alla umanità, contro alla relligione. E però bisogna che elli abbi uno animo disposto a volgersi secondo ch'e' venti e le variazioni della fortuna li comandono, e, come di sopra dissi, non partirsi dal bene, potendo, ma sapere intrare nel male, necessitato. Debbe adunque avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo et udirlo, tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto relligione. E non è cosa più necessaria a parere di avere, che questa ultima qualità. E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani; perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi. Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu se'; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti, che abbino la maestà dello stato che li difenda: e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de' principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e' mezzi sempre saranno iudicati onorevoli, e da ciascuno laudati; perché el vulgo ne va preso con quello che pare e con lo evento della cosa; e nel mondo non è se non vulgo; e li pochi non ci hanno luogo, quando li assai hanno dove appoggiarsi. Alcuno principe de' presenti tempi, quale non è bene nominare, non predica mai altro che pace e fede, e dell'una e dell'altra è inimicissimo; e l'una e l'altra, quando e' l'avessi osservata, li arebbe più volte tolto o la reputazione o lo stato.

(Niccolò Machiavelli, Il Principe, cap. XVIII: Quomodo fides a principibus sit servanda)


 

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