La tradizione filosofica greca ha trovato già in Socrate, Platone e Aristotele un baluardo formidabile contro coloro – i sofisti – che volevano interpretare la retorica in funzione della persuasione del pubblico rispetto alle loro tesi, e che dunque ricercavano il verosimile anziché la verità. La cultura greca, più in generale, ha sì prodotto alcuni degli archetipi dell'uomo astuto – il generale e il politico – che hanno poi trovato posto in tutta la storia dell'occidente, a cominciare da Ulisse, che Omero definisce polytropos, “dalle molte figure”, “dalle molte astuzie”. Ma ha sempre avuto problemi a delimitare l'ammissibilità morale dell'inganno. Da una differente angolazione, la tradizione giuridica e filosofica romana rifuggiva dall'inganno perché contrario al decus e all'onorabilità, così come alla verità e alla giustizia, e perché fondamentalmente opposto alla bona fides che doveva informare i rapporti tra i cittadini e alla lealtà che legava tutti alla prosperità della res publica. Ciò non ha impedito a generali e uomini politici romani, da Scipione l'Africano a Cesare e Ottaviano, fino a Ezio, di essere uomini straordinariamente astuti e manipolatori. È curioso notare che nella letteratura latina l'inganno è sempre un attributo dei popoli orientali, a cominciare dai greci: Virgilio parla nell'Eneide dell'ars pelasga, cioè pelasgica, propria dei popoli dell'Egeo, mentre Velleio Patercolo cita l'attica fides per indicare la propensione greca per la menzogna, così come Plauto (“graeca mercari fide”, mercanteggiare con fede greca, Asinaria, 199) e Giovenale, mentre Properzio indica Alessandria d'Egitto come “dolis aptissima tellus”, terra adattissima all'inganno, e Polibio ci ricorda quanto poco siano affidabili i patti stretti con i Locresi, e ancora Sallustio disprezza la punica fides, perché i cartaginesi sono molto inclini ad ingannare. La tradizione cristiana, infine, innesta su queste fondamenta etiche, filosofiche, giuridiche e politiche un ulteriore e netto rigetto dell'inganno perché è pratica inaccettabile per il cristiano, e ciò per ragioni religiose. Poiché Dio è luce e verità, tutto ciò che abbia caratteristiche opposte, e quindi lo stratagemma e l'inganno, appartiene al dominio del male, e quindi del diavolo (dal lat. tardo diabolus, che deriva dal greco diabállein: rendere falsa testimonianza, mentire, e quindi ingannare).
Daniele Zotti