L'idea orientale di inganno
Per comprendere le implicazioni dell'idea orientale di inganno, possiamo usare le parole di un filosofo e sinologo francese, François Jullien, che ci introduce a prospettive differenti da quella occidentale, in modo da poter meglio cogliere, per differenza, le caratteristiche del nostro modo di pensare e di agire: “Ora, incontriamo in Cina un pensiero dell'efficacia che, non proiettando nessun piano sul corso delle cose, non deve nemmeno considerare la condotta nell'ottica mezzi-fine: quest'ultima, di conseguenza, risulta non da una applicazione (la teoria predefinita che si sovrappone al reale, in modo da potere in seguito ricalcarlo su di essa), ma piuttosto da uno sfruttamento (mettendo a profitto il potenziale implicato in una situazione data)”. Quando si arriva a parlare di inganno, ovvero di manipolazione non soltanto delle nostre azioni sul reale, ma delle percezioni che il nemico (o il nostro alleato) ha del reale e del suo modo di intraprendere azioni collegate a tali percezioni, le riflessioni del filosofo acquistano un'urgente concretezza.
Quando Jullien parla del potenziale di situazione, ci sta sollecitando a “servirci del reale giocando d'astuzia con esso – non tanto a giocare d'astuzia con gli altri, cosa che a noi è sempre parsa il colmo dell'abilità [...], quanto a giocare d'astuzia con la situazione, contando sulla logica del suo svolgimento: per lasciare accadere l'effetto – e dunque senza aver bisogno di fare sforzo e di prodigarsi – ed insieme per evitare ogni crisi di rigetto nei suoi confronti, rendendolo tollerabile”. Questo diverso rapporto con il reale e con il nostro modo di agire e di non agire in esso è fondamentale per elaborare una dottrina dell'inganno, sia nelle operazioni militari che in quelle d'intelligence, che si distingua dall'approccio americano e, più in generale, anglosassone.
Per poter sfruttare il potenziale di una situazione che si determina nella realtà è necessario conoscere i meccanismi e i processi che quella situazione hanno generata e governano. In questo senso, le informazioni che si raccolgono non servono solo o principalmente a scoprire le capacità e le intenzioni del nemico, ma ad investigare le correnti di eventi che possono sospingere sia noi che i nostri avversari verso esiti favorevoli o disastrosi. In questa prospettiva, la raccolta e l'analisi delle informazioni sono – in modo ancora più determinante di quanto abitualmente si dica – la necessaria premessa e il costante sostegno alla strategia. Dinanzi ad una realtà mutevole e impossibile da governare, cioè da dirigere autoritativamente, l'inganno diviene l'articolazione operativa della strategia e non una semplice aggiunta, un supplemento occasionale o un accessorio ricercato. L'inganno non presuppone semplicemente una conoscenza che è negata al nemico o all'avversario, cioè quella che nella Teoria dei Giochi si chiama un'informazione privata, ma richiede che questa conoscenza sia compresa nei suoi molteplici rapporti con la realtà, nei suoi assunti, nelle sue implicazioni e nelle sue possibilità di sviluppo e di trasformazione. La conoscenza necessaria alla deception è, in linea generale, una conoscenza già molto elaborata, sofisticata, estesa e raffinata. È il frutto di un processo di analisi molto complesso che la produce e la definisce: sulla base di questo processo di analisi, della qualità dei suoi strumenti, del tempo impiegato per completarlo, delle caratteristiche delle informazioni che sono state utilizzate, si può dire se, come e a quali condizioni la conoscenza che esso produce è base solida per costruire un piano di deception.